La mimetica italiana: dalla Seconda Guerra Mondiale al Soldato Futuro

Da sempre, il militare necessita di un abbigliamento adeguato e misurato sulle proprie esigenze, qualunque sia il servizio da svolgere. La mimetica italiana come la conosciamo oggi è un’uniforme da combattimento funzionale, con un mimetismo studiato per confondersi con i nostri ambienti naturali e soprattutto sicura per l’operatore, ma non è sempre stato così. Scopriamo insieme come si sono evolute nel tempo le mimetiche italiane!

La Seconda Guerra Mondiale

L’uniforme indossata dai soldati di truppa durante la Seconda Guerra Mondiale era di colore grigio-verde, si componeva di una giacca di panno a tre bottoni, con quattro tasche anteriori disposte a coppia, sul petto e sui fianchi, ed una più grande posteriore. Soldati Italiani a Cefalonia
I pantaloni avevano un taglio inconfondibile, con la parte superiore molto ρiυ’ ampia rispetto a quella inferiore, la quale dal ginocchio in giù calzava aderente per essere avvolta nelle fasce mollettiere, nei calzettoni o nei gambali. Seppur questa divisa possa essere considerata più adatta per climi freddi, l’Esercito al tempo non prevedeva una variante “estiva” della vestizione, dunque il soldato era tenuto a portare lo stesso tipo di pantaloni e calzature per tutte le stagioni, ma poteva togliere la giacca (che all’interno era anche parzialmente foderata) nella tenuta “di marcia”. A questo proposito, la giubba era tagliata in modo che i lati del collo potessero essere chiusi e fermati con un bottone durante l’inverno, e lasciati aperti in estate. A completamento dell’uniforme, i soldati avevano anche dei paramano a fascia ed indossavano un cinturino in vita per rendere la giacca meno ingombrante.
La tenuta utilizzata nel periodo bellico rispecchiava perfettamente i mezzi e gli strumenti a disposizione di uno Stato di metà Novecento per una Guerra che si pensava sarebbe stata rapida e indolore: i tessuti non solo erano inadatti alle stagioni calde ma non erano nemmeno di buona qualità, quindi tendevano a logorarsi facilmente dimostrandosi inadeguati ad ogni situazione.
Cintura militare utilizzata dai soldati italiani durante la Sconda Guerra MondialeSe però una parte dei combattimenti ebbe luogo nel continente europeo, non possiamo dimenticare che ci fu anche la Campagna del Nord Africa. Le uniformi impiegate in questo contesto erano chiamate sahariane ed avevano un taglio simile a quello continentale ma erano realizzate in colore cachi. Purtroppo anche i materiali di questa uniforme non erano di buona qualità e tendevano a scolorirsi al sole; in più, le norme sulla vestizione spesso non venivano rispettate ed i soldati adottavano i ρiυ’ disparati capi di abbigliamento per far fronte al clima desertico: bermuda, sandali, talvolta anche camicie appartenute ai nemici.
Nel panorama delle divise belliche italiane però non c’erano soltanto quella grigio-verde e quella cachi, ma vennero introdotte anche due tenute speciali destinate a due nuove Forze Armate, entrate tra le fila dell’Esercito proprio durante la Guerra: prima i carristi, poi i paracadutisti.
La tenuta dei carristi consisteva in una tuta blu intera da indossare sopra il grigio-verde, integrata con l’iconico giaccone di pelle e l’apposito elmetto antiurto, modello inconfondibile tra le protezioni balistiche del tempo. Elmetto M33Ai paracadutisti venne data invece una divisa grigio-verde molto simile a quella degli altri soldati, che però si dimostrò fin da subito inadatta per gli aviolanci e venne integrata dopo qualche anno con accessori ρiυ’ idonei come stivaletti da lancio e rinforzi per ginocchia e gomiti, venendo sostituita poi da un giaccone mimetico più adeguato.
Dopo l’Armistizio dell’8 Settembre 1943 l’Italia passò dalla parte Alleata e se da una parte adesso lo Stato volgeva lo sguardo verso la libertà e la liberazione dal nuovo nemico tedesco, dall’altra lasciava completamente soli i soldati, trascurando l’organizzazione della Forza Armata. Fu così che ai Comandanti locali fu lasciata l’iniziativa della gestione delle truppe e dei rapporti con il nemico, mentre i magazzini e i depositi delle forniture venivano depredati e ai militari non rimase altro che indossare le vesti riservate alle missioni in Libia e in Egitto, conservate a Napoli: una camicia a mezza manica color cachi slacciata fino allo sterno e un paio di pantaloni ampi da fermare al ginocchio con le fasce mollettiere. È facilmente comprensibile come neanche questo abbigliamento fosse idoneo al variare delle stagioni e per questo i soldati cercarono maldestramente di ripararsi dal freddo indossando la camicia grigio-verde sotto il camiciotto in tela sahariano.
Sul finire della Guerra nel 1944 vennero costituiti i Gruppi di Combattimento, ovvero unità militari dell’Esercito che combattevano al fianco degli Alleati. In questa occasione agli italiani vennero fornite le vesti inglesi: una giacca corta stretta in vita con una fascia di stoffa regolabile e ampi pantaloni con un particolare tascone posto sul quadricipite sinistro. Perfettamente uguali ai britannici, ciò che distingueva gli italiani nella vestizione erano le mostreggiature e le insegne di grado, unite all’insegna tricolore da portare prima sulla controspallina e poi sulla manica sinistra, con al centro del riquadro bianco il distintivo del Gruppo di Combattimento di appartenenza.
Come abbiamo ormai capito, durante la Guerra non ci fu una vera e propria regolamentazione sulle divise, l’Italia era in subbuglio e l’organizzazione delle Forze Armate e delle loro forniture lasciava molto a desiderare. Fu però dopo il Conflitto che si tentò di dare una norma più precisa all’Esercito in merito alle uniformi, per questo venne ufficialmente adottato il mimetismo M29.

Il mimetismo M29Ex uniforme del Battaglione San Marco, in mimetismo molto simile al Roma M29

Già studiato durante la Prima Guerra Mondiale, questo pattern policromo era costituito da macchie dalla forma irregolare, arrotondate ai lati, di colore rosso ramato, giallo e verde. Il primo modello sul quale venne impiegato questo mimetismo non era in realtà un vero e proprio capo di abbigliamento, ma un telo usato soprattutto come tenda. Aveva tre asole con i relativi bottoni per essere chiuso quando veniva steso come copertura, mentre per essere indossato veniva fissato al corpo attraverso gli appositi lacci posti sui bordi. Nonostante oggi possa apparire come un capo estremamente singolare, al tempo della sua adozione riscosse un ampio successo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale il mimetismo M29 venne impiegato per la costruzione di un’uniforme destinata principalmente ai paracadutisti: il modello Roma M29. Costruito in due pezzi da indossare sopra la propria montura, questo completo si componeva di una giacca con cappuccio e coulisse in vita, con elastico ai polsi e sul fondo in funzione antivento, chiusura davanti con bottoni e tasche pettorali. I pantaloni, dal taglio ampio, avevano rinforzi sulle ginocchia e bretelle integrate per rendere ρiυ’ saldo l’indosso. Questa divisa si confermò poi la vestizione ufficiale di tutto l’Esercito tra gli anni ’50 e ’60, fino all’arrivo della monocromatica Roma75.

Roma75

L’uniforme da combattimento e servizio Roma75 è stata la vestizione ufficiale Borsone militare italiano utilizzato tra gli anni '70 e '80dell’Esercito Italiano dagli anni ’70 fino all’inizio degli anni ’90. Singolare rispetto alle tenute mimetiche a cui oggi siamo abituati, questa era invece completamente di colore verde oliva. Era costituita da camicia, giacca e pantaloni, facilmente riconoscibili tra loro per lo stile moderno ed elegante che li accomunava. La giacca aveva una coulisse interna, quattro tasche frontali, controspalline, polsini e gomiti rinforzati; i pantaloni erano costituiti da due tasche anteriori e due posteriori, zip alla caviglia e rinforzi sulle ginocchia, mentre la camicia, come la giacca, aveva una striscia di velcro sul lato destro del petto e una paramontura a protezione dell’apertura frontale. A completamento della divisa, veniva dato in dotazione anche il parka della stessa linea, in versione sia invernale, imbottito, sia da mezza stagione, sfoderato.
Finalmente, con l’iconica Roma75, l’Esercito Italiano aveva una vestizione allineata e completa, comune in tutte le parti della Nazione, funzionale e dalle linee moderne.

Il Woodland degli anni ’90

Nell’ultimo decennio del Novecento si riprese la colorazione mimetica, molto diversa da quella degli anni ’50 e simile invece al Woodland americano, adottato dagli Stati Uniti nel 1981. Copri zaino WoodlandQuesto mimetismo in Italia aveva la stessa struttura di quello oltreoceano ma con tonalità differenti di colore: verde e marrone più scuri, giallo-sabbia più acceso. La giacca dell’Uniforme Woodland presentava varie migliorie strutturali rispetto alle divise precedenti: fori di areazione ascellari, taschini sulle maniche, tasche interne e un passante per appendere occhiali o altri oggetti. I pantaloni avevano invece un elastico alla caviglia e passanti in vita ρiυ’ larghi per accogliere cinturoni, oltre alle usuali tasche posteriori e sui gambuli.
Parlando degli anni ’90 però c’è da ricordare anche che tra il 1992-94 l’Italia fu impegnata in ambito internazionale con la missione in Somalia UNOSOM (United Nations Operation in Somalia), fortemente voluta dall’ONU per fronteggiare la condizione nel Paese stremato da anni di guerra civile, di carestia e di pestilenze. Il contingente italiano era chiamato ITALFOR-IBIS: incentrato sulla Brigata Paracadutisti “Folgore”, venne integrato poi dalla Brigata meccanizzata “Legnano” e comprendeva anche personale della Marina e dell’Aeronautica. Per svolgere una missione in un ambiente semidesertico come quello del Corno d’Africa era necessaria una mimetica appropriata e l’Italia ne creò una apposita. L’Uniforme per la Somalia aveva la stessa struttura della Woodland continentale ma il pattern era costruito ovviamente con tonalità diverse: giallo ocra, marrone chiaro, marrone scuro, verde.

Il Vegetato Italiano

Giunti negli anni Duemila, assistiamo ad un ulteriore cambiamento delle nostre uniformi da combattimento, stavolta approdando ad un nuovo mimetismo che, seppur con qualche variazione, viene utilizzato ancora oggi. La prima versione del nostro vegetato è stata introdotta nel 2004, era composta da uno schema di colori in stile frattale con una base khaki e un pattern in marrone scuro, marrone-rosso scuro e verde oliva. Il completo utilizzato con questo mimetismo si distingueva da quello odierno per il taglio del modello BDU, con tasche pettorali e velcri orientati per obliquo, ma non solo. Dopo pochi anni dalla sua introduzione infatti, il vegetato è stato leggermente modificato nei colori, rendendoli ρiυ’ intensi ed arricchendoli con il nero. In questa occasione anche il taglio delle uniformi è cambiato, allineando lo standard italiano al progetto “Soldato Futuro”.
Nato come “Combattente2000”, il Sistema Soldato (o Soldato Futuro) è un progetto attraverso il quale attingendo alle nuove tecnologie fornite dal progresso tecnico, si cerca di migliorare la sicurezza e l’operatività del singolo combattente, soprattutto se appiedato, ma anche l’efficacia del comando generale e l’organizzazione delle operazioni. La necessità di tale evoluzione è nata a seguito del mutamento, nel tempo, dei vari scenari operativi (sempre ρiυ’ urbanizzati) e dal bisogno di rendere più all’avanguardia il nostro sistema di difesa. Mimetica VegetataL’Uniforme da Combattimento progettata in questo contesto è realizzata in tessuto RipStop antistrappo, talvolta anche resistente alle fiamme, ed è composta principalmente da una giacca da combattimento e pantaloni, con aggiunta di vari accessori. La giacca ha un’apertura frontale a 5 bottoni, due tasche pettorali con patta e tasche su entrambe le maniche. Dispone di due pannelli di velcro sul petto per apporre la patch con il nome e la Forza Armata di appartenenza, mentre sulla paramontura si trova una linguetta di tessuto per inserire il grado tubolare. I pantaloni hanno quattro tasche ordinarie (2 davanti, 2 dietro), più un tascone su ciascuna gamba. Sono rinforzati sulle ginocchia e talvolta sulla seduta e integrati con lacci alle caviglie.
Il completo operativo militare non si esaurisce tuttavia solo con questi due elementi, ma viene completato dagli anfibi, dalla maglia termica a manica lunga o dalla t-shirt a manica corta in base alla stagione, oppure dalla Combat Shirt. In ρiυ’, si aggiungono il cinturone e le varie buffetterie, il gilet tattico, l’elmetto, la sciarpa a rete e, se richiesto, anche il giubbetto antiproiettile.
Non c’è da dimenticare infine, che l’Italia ha ancora varie missioni attive all’estero e per questo dispone anche della variante desertica del mimetismo ordinario, chiamata appunto vegetato desert. Questo pattern è costruito con una combinazione di quattro colori, alcuni simili tra loro nel pigmento ma differenti nella tonalità: bianco, sabbia, cachi, marrone.

Capiamo bene come il militare di oggi sia un operatore equipaggiato in maniera intelligente e completa, attraverso accessori ma soprattutto capi d’abbigliamento sicuri e studiati per affrontare il pericolo. Guardandoci indietro, possiamo capire quanta strada abbiamo fatto nell’ambito delle uniformi da combattimento: siamo partiti con delle tenute di panno facilmente logorabili ed inadatte alle stagioni calde, passando poi a completi tinti di un mimetismo singolare ed utilizzati soprattutto come sovracopertura; negli anni Settanta abbiamo fatto un salto di qualità uniformando il panorama della vestizione attraverso la Roma75, abbandonando però il pattern mimetico, il quale è stato ripreso circa vent’anni dopo reinterpretando il Woodland americano. Finalmente, negli anni Duemila, abbiamo introdotto il nostro primo vero mimetismo, il vegetato, e ci siamo enormemente evoluti in termini tecnologici e di sicurezza. Oggi non possiamo che essere fieri del percorso fatto ed essere certi che i nostri militari indossano ogni giorno le migliori uniformi da combattimento che l’Esercito Italiano abbia mai avuto in dotazione.


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